Il viaggio di una particella d’acqua. Una simulazione per scoprire come si muovono gli oceani

In concreto, con la simulazione di ECCO, gli studiosi hanno potuto seguire passo dopo passo ben 65.000 pacchetti d'acqua, come se fossero "corridori" ad una griglia di partenza collocata idealmente nell'Atlantico, appena a sud dell'equatore.

Il viaggio di una particella d’acqua. Una simulazione per scoprire come si muovono gli oceani

Immaginate di perdervi con lo sguardo su una distesa oceanica calma e sconfinata. Tutto sembra immobile e destinato all’eternità temporale. In realtà, però, le cose stanno diversamente: l’acqua degli oceani… viaggia! Esatto, proprio così. Magari un po’ lentamente, ma è in grado di fare il “giro del mondo” e ritornare al punto di partenza. Quanto ci mette? Se lo sono chiesto alcuni scienziati che hanno deciso di provare a calcolare quanto tempo impiega una particella d’acqua dell’Atlantico a fare il giro di tutti gli oceani del mondo per ritrovarsi infine al punto di partenza. Ovviamente, si è trattato di uno studio puramente virtuale, che però ha utilizzato ed incrociato informazioni provenienti da oltre 1 miliardo di dati raccolti in 25 anni, da una grande varietà di strumenti. Ebbene, il gruppo di oceanografi ha potuto stimare che le particelle d’acqua impiegano da centinaia a migliaia di anni per completare un viaggio epico da un oceano all’altro, prima di ritrovarsi nelle acque di origine. L’innovativa ricerca (pubblicata su “Science Advances”) è stata condotta da Louise Rousselet e Paola Cessi (Scripps Institution of Oceanography, USA) e Gael Forget (MIT, dip. di scienze della Terra).

Ci si potrebbe chiedere: ma che utilità ha sapere quanto dura il viaggio intorno agli oceani di una particella d’acqua? Il dato in sé, probabilmente, poca. Ma l’evidenziazione dei fattori che di fatto incidono sulla sua durata ne ha invece moltissima. Grazie a questo lavoro, per esempio, Rousselet e colleghi hanno potuto raccogliere sufficienti evidenze scientifiche per affermare che una componente fondamentale della circolazione nell’Oceano Atlantico, la Corrente del Golfo (una tratta dell’Atlantic Meridional Overturning Circulation, AMOC), che modera le temperature tra l’equatore e i poli, potrebbe essere più vulnerabile di quanto si sia finora ritenuto. E bisogna considerare che le ricadute ambientali di eventuali gravi criticità legate alla Corrente del Golfo finirebbero per coinvolgere mezzo mondo, e con effetti ancora tutti da capire!
Per analizzare una così grande mole di dati, il team di oceanografi si è servito di un potente modello della circolazione oceanica, l’Estimating the Circulation and Climate of the Ocean (ECCO), gestito da un consorzio di istituzioni USA che fa capo alla NASA. Il miliardo e passa di dati esaminati sono stati collezionati da satelliti, boe galleggianti alla deriva della rete globale “Argo” e numerose altre fonti. ECCO ha unito i dati in una simulazione globale degli oceani, proprio come si fa con i dati atmosferici per le previsioni meteorologiche. Si è così potuto verificare che le particelle d’acqua considerate, osservate lungo il loro viaggio virtuale, avevano proprietà fisiche (ad es. temperatura e salinità) che mutavano durante il percorso al cambiare degli ambienti.

Nella simulazione, dunque, i ricercatori hanno seguito le particelle d’acqua a partire dal punto di origine della Corrente del Golfo, che, nel primo tratto del suo percorso, si dirige verso nord. Lungo il tragitto, a un certo punto l’acqua della Corrente si raffredda, diventando più pesante. Di conseguenza, si inabissa, mettendo in moto un flusso di acque fredde e dense che, dalle profondità dell’oceano, tendono a risalire e a muoversi verso l’equatore. Ebbene, questa enorme e complessa circolazione influenza significativamente il tempo meteorologico in Europa e in altre aree attorno all’Atlantico.
In concreto, con la simulazione di ECCO, gli studiosi hanno potuto seguire passo dopo passo ben 65.000 pacchetti d’acqua, come se fossero “corridori” ad una griglia di partenza collocata idealmente nell’Atlantico, appena a sud dell’equatore. L’elaborazione dei dati ottenuti ha permesso di “osservare” la posizione delle particelle d’acqua negli ultimi 25 anni; ma Rousselet e colleghi hanno voluto spingersi oltre, andando indietro di altri 25 anni e poi di altri 25 ancora, e così via per millenni!

In questo modo, hanno scoperto che circa un terzo dell’acqua, dopo avere lasciato l’Atlantico per fare un viaggio attraverso gli oceani Pacifico, Indiano e Meridionale (l’Antartico), ha impiegato circa 300 anni per tornare a casa. Il 20% delle particelle monitorate, pur avendo fatto all’incirca lo stesso percorso, ha invece viaggiato a profondità maggiori, compiendo anche una deviazione nel Mare di Weddell (al largo dell’Antartide); questa parte dei corridori d’acqua, invece, ha impiegato 700 anni per tornare nell’Atlantico. La maggiore quantità d’acqua, quasi la metà, ha però avuto bisogno di ben 2.800 anni per tornare indietro, viaggiando per circa 1.000 anni negli abissi più profondi dell’Oceano Pacifico.

In tutti e tre i casi, le proprietà dell’acqua sono cambiate nel percorso, e tali cambiamenti hanno influenzato la velocità delle particelle; ma, soprattutto, i percorsi simulati hanno consentito ai ricercatori di registrare la temperatura e la salinità in vari punti del viaggio. Tale misurazione ha portato a concludere che la Corrente del Golfo funge da condotto attraverso il quale il sale viene pompato nell’Oceano Atlantico. Ma se quella circolazione è un “portatore di salinità”, si può ipotizzare che le recenti dinamiche indotte dai cambiamenti climatici nell’Oceano Atlantico settentrionale potrebbero anche destabilizzare l’intera AMOC. Altri studi, infatti, hanno già dimostrato che l’Oceano Atlantico settentrionale sta diventando più fresco e meno salato, via via che accelera lo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia, e l’acqua che ne deriva, relativamente fredda, si riversa nell’Atlantico. Il timore degli studiosi è che le incursioni di acqua dolce possano addirittura interrompere la Corrente: un evento che, almeno potenzialmente, potrebbe innescare cambiamenti meteorologici estremi non solo attorno all’Atlantico, ma in tutto il Pianeta!

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Fonte: Sir