Sette storie di migranti con il pallino di fare impresa

Dal primo fast food africano in Italia all'import di anacardi bio dal Segenal. Grazie a un corso di formazione e mentoring, finanziato dalla Commissione Europea, ora sono pronti a lanciare il loro business. Ma sono alla ricerca di finanziamenti o partner commerciali.

Sette storie di migranti con il pallino di fare impresa

Florette sta per lanciare a Bologna il primo fast food africano in Italia. Ben importerà dal Senegal gli anacardi biologici prodotti dall'azienda di famiglia. Sidiki, ex bracciante a Rosarno dove ha rischiato la vita nelle mani dei caporali, ora sogna il riscatto aprendo un allevamento di pollame in Burkina Faso. I millennial Mouwafak e Macoura puntano invece su un coffee-lounge bar tutto africano a Milano, Yolande su una residenza per anziani in Costa d'Avorio, Lucio sulla pubblicità mobile sui mezzi di trasporto e Petwa sulle lavanderie self service a Milano.

Queste sono solo sette delle decine di idee imprenditoriali che hanno saputo coniugare expertise, network e capitali sviluppati in Italia, messe in campo da migranti africani grazie al programma di formazione e mentoring del progetto Building Integration Through Entrepreneurship (Bite).

Il progetto, finanziato dalla Commissione Europea – DG Internal Market, Industry, Entrepreneurship and SMEs e realizzato da Etimos Foundation in collaborazione con Fondazione Ismu, E4Impact, Comune di Milano, European Regional Framework for Cooperation, Integra AB, ha l'obiettivo di promuovere l'integrazione dei migranti dell'Africa subsahariana presenti in Italia, Svezia e Grecia, valorizzando e catalizzando il loro potenziale imprenditoriale.

Il percorso di formazione è durato oltre un anno e mezzo e i risultati verranno presentati durante il webinar che si terrà il 15 ottobre dalle 17.00 alle 19.00 (sul sito della Fondazione Ismu). Dal suo inizio nel 2018 Bite ha ricevuto per Italia, Grecia e Svezia 359 candidature da parte delle comunità della diaspora africana, ha selezionato 100 partecipanti tra Italia (48), Grecia, e Svezia, e ha avviato un percorso di mentoring per un totale di oltre 40 (di cui 29 in Italia) potenziali imprenditori migranti.

Molti di questi migranti stanno per avviare attività nei Paesi d'origine, altri puntano tutto sul Paese che li ha accolti. Florette, da rifugiata politica a futura “regina” del primo fast food africano. Rifugiata politica, Florette ha 40 anni, viene dal Camerun e, oltre a essere mamma di 4 figli biologici, ha anche adottato un ragazzo migrante non accompagnato. Grande appassionata di cibo, Florette ha lavorato a Bologna nel settore della ristorazione scolastica. E proprio da questa sua esperienza professionale è nata l'idea di aprire a Bologna il primo fast food africano in Italia in cui servire piatti della tradizione africana occidentale che i clienti italiani ancora non conoscono (come le polpette di pane e carne di agnello). Il fast food vuole attirare anche migranti di origine africana che vogliono ritrovare i sapori delle terre di origine. “Voglio portare i profumi e i sapori dell’Africa in Italia”, racconta Florette che per aprire i battenti attende solo il via libera al prestito richiesto in banca. E intanto ha già individuato il locale adatto alla sua attività.

Ben punta sull'import di anacardi bio dal Senegal. Sposato con tre figli, Ben, 34 anni, è originario del Senegal e vive in provincia di Treviso, dove lavora come addetto all'imbottigliamento in una ditta vinicola. Perfettamente integrato in Italia, paese in cui ha frequentato le scuole, Ben ha mantenuto vivo il legame con la sua terra e con i suoi famigliari che si dedicano alla coltivazione di anacardi. Da qui nasce la sua idea imprenditoriale: importare in Italia gli anacardi coltivati dal padre e dai fratelli in Senegal, sfruttando competenze e risorse attinte dal proprio background famigliare e migratorio. “La cosa più bella è portare in Italia il frutto della fatica di mio padre che coltiva anacardi in Senegal”, spiega Ben che per dare il via alla commercializzazione in Italia aspetta solo la certificazione che attesti che il suo è un prodotto biologico. Il suo progetto imprenditoriale è un perfetto esempio di business transnazionale.

Sidiki, ex bracciante a Rosarno, sogna di aprire un allevamento di polli in Burkina Faso. Quella di Sidiki, 37 anni, originario del Burkina Faso, è una storia particolare. Dopo aver lavorato duramente come bracciante in Puglia e a Rosarno (Reggio Calabria), dove ha anche rischiato la vita nelle mani dei caporali, Sidiki si è trasferito a Treviso, lavora in una ditta di autoclavi e ha trovato finalmente la serenità. Ora però vorrebbe migliorare la sua vita e aprire un allevamento di pollame in Burkina Faso, mettendo così a frutto le conoscenze acquisite in Italia. Dove è nato – dice - spesso la carne è mal conservata e ci sono problemi di igiene: la sua proposta è quella di fornire quindi pollame buono, genuino e ben conservato. “Più volte nella vita ho tentato di mettermi in proprio e non ci sono riuscito. Molti penserebbero che per me sia troppo tardi e invece grazie a BITE solo ora mi sento più sicuro”, spiega Sidiki che, dopo aver completato il business plan, ora è impegnato nella ricerca dei finanziamenti.

Mouwafak e Macoura, i due giovani millennial che vogliono lanciare un coffee-lounge bar africano a Milano. Sono arrivati in Italia da bambini e dieci anni fa si sono incontrati e innamorati. Mouwafak, 29 anni, originario del Togo e laureato in ingegneria, e Macoura, 28 anni, nata in Costa d'Avorio e laureata in Scienze Politiche, sono due giovani che appartengono alla generazione dei millennial e che hanno un grande sogno: aprire un coffe-lounge african bar di design a Milano. E anche se tutti e due hanno un lavoro che li soddisfa – lui in un'azienda di prodotti e articoli tecnici e lei in una ditta che sviluppa software -, sarebbero disposti a lasciare la loro attuale occupazione per mettersi in proprio. “Vogliamo far conoscere agli italiani il lato più raffinato dell'Africa, ma senza rinunciare alla tradizione. Il nostro locale sarà un punto di incontro tra le nostre culture e quella italiana e farà parte del circuito del commercio equo e solidale”, spiegano. Completato il business plan, ora Mouwafak e Macoura, sono a caccia di finanziamenti e di eventuali partner.

Lucio, lo studente-lavoratore di seconda generazione che punta sul settore della pubblicità. Nato in Italia, papà italiano e mamma ugandese, Lucio, 26 anni, è uno studente-lavoratore di seconda generazione: oltre a studiare Economia presso l’Università di Pavia, è impiegato presso un servizio noleggio con conducente, avviato da lui assieme ad altri soci. La sua idea di business è vendere pubblicità in movimento a basso costo da applicare a mezzi di trasporto pubblici e privati (taxi, auto-noleggio con conducente, ecc.). Gli annunci pubblicitari verrebbero trasmessi su schermi a cristalli liquidi da applicare sui finestrini. In questo modo il passeggero può godersi il panorama, senza essere disturbato dalla pubblicità. Lucio vorrebbe lanciare la sua attività a Milano per poi espandersi in Uganda e contribuire così allo sviluppo economico e sociale della terra da cui proviene parte della sua famiglia: “Sono un migrante anomalo: vorrei tornare in Africa ma sono bloccato dal Covid!”, spiega. Approvato il business plan, ora è in cerca di finanziamenti.

Yolande, l'infermiera che sogna di aprire una residenza per anziani in Costa d'Avorio. Ha vissuto di più in Italia che nella sua terra natia, la Costa d'Avorio. Yolande, 54 anni, separata e mamma di due figli, ha dedicato la sua vita alla cura degli altri. Dopo il diploma in infermeria (1993), ha prima lavorato come infermiera in una casa di riposo a Casalpusterlengo (Lodi), per poi passare al reparto di pediatria del Policlinico di Milano. Ma adesso sente che per lei è arrivato il momento di mettere le sue competenze e conoscenze al servizio del suo Paese. Da qui è nata l'idea di aprire una residenza per anziani in Costa d'Avorio, dove sempre più spesso gli anziani che vivono in città non possono più contare sull'aiuto dei figli. Quello di Yolande è un progetto ambizioso in cui lei crede fortemente, tant'è che ha già acquistato un terreno, dove potrebbe nascere in futuro la sua struttura. “Voglio diventare imprenditrice per realizzare la mia voglia di aiutare il prossimo nel Paese dove sono nata. Sento che ora lì c'è bisogno di me!”, dice Yolande, che per realizzare il suo sogno è disposta a lasciare il lavoro al Policlinico. Il progetto è all'inizio: in questa fase Yolande sta creando una rete di professionisti in grado di cominciare a fornire assistenza domiciliare.

Petwa si mette alla prova con le lavanderie self service. In Italia ha scoperto di avere la stoffa dell'imprenditrice. Petwa, 36 anni, dopo la laurea in Economia in Uganda si trasferisce a Milano per un master e viene assunta come senior sales per la Fiera di Rimini. Ma il lavoro da dipendente le sta stretto, così decide di investire in un piccolo appartamento che affitta ai turisti. Da lì la voglia di mettersi in proprio e di trovare un'idea di business che possa funzionare: una catena di lavanderie self service a Milano. “In Uganda mi sentivo in una gabbia: qui in Italia invece ho capito che potevo cominciare a sognare e realizzare i miei desideri. E grazie a BITE ora ho acquisito le competenze giuste per avviare una attività”, spiega Petwa che ha scelto di venire a vivere in Europa per sentirsi più libera, per realizzarsi e affermare la sua indipendenza anche come donna. Il suo progetto avanza velocemente: una volta trovata la location giusta chiederà i finanziamenti con l'ottica di aprire la sua prima lavanderia nel giro di sei mesi.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)