Terzo settore e impresa sociale. Otto proposte per “costruire un Paese diverso”

Dal sostegno alla nascita di nuove imprese sociali, alla valorizzazione del “giacimento occupazionale” del non profit, sulla Rivista Impresa Sociale otto idee per “fare leva sul terzo settore” e rilanciare il Paese. “Attenzione del governo marginale. È il momento di disegnare una strategia di lungo periodo”

Terzo settore e impresa sociale. Otto proposte per “costruire un Paese diverso”

“Fare leva sul terzo settore e sulle imprese sociali per rilanciare il Paese: bastano poche risorse per un vero cambiamento”. A dirlo è la Rivista Impresa Sociale che nell’ultimo numero - disponibile online - lancia, nell’editoriale di Carlo Borzaga e Felice Scalvini, otto proposte per una strategia di rilancio e sviluppo “per costruire un Paese diverso”. Le proposte sviluppate partono dalla constatazione che “nei primi tre provvedimenti di emergenza emanati dal governo, delle necessità delle organizzazioni del terzo settore e delle imprese sociali si è tenuto conto assai marginalmente, in ritardo e senza una visione d’insieme dei loro reali bisogni - scrivono Borzaga e Scalvini -. Qualche misura di sostegno è stata garantita o è in corso da parte di alcune amministrazioni locali, ma sempre seguendo una logica emergenziale”. Per i due autori, invece, è “arrivato il momento di disegnare una strategia di lungo periodo, anche per assicurare il mantenimento e lo sviluppo del sistema dei servizi offerti dal terzo settore e, più nello specifico, dalle imprese sociali. Una strategia che possa altresì contribuire a utilizzare bene le risorse in arrivo dall’Unione europea”.

Secondo Borzaga e Scalvini, tuttavia, ad oggi non c’è una “sufficiente consapevolezza” di questa necessità e “nonostante il lavoro delle varie task force e commissioni di visioni e strategie al momento non c’è neppure l’ombra”. Se i riferimenti al terzo settore e all’impresa sociale nelle proposte della task force presieduta da Colao “erano confusi e del tutto insoddisfacenti - si legge nell’editoriale -, quando non in contraddizione con la recente riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale (ma comunque c’erano), ora nelle proposte del Governo sono del tutto assenti, stando almeno a quanto si legge sui media e sui documenti disponibili”. Per Borzaga e Scalvini, il governo si sta “orientando su interventi molto tradizionali e forse non esattamente prioritari, oltretutto con un indotto economico sul quale è legittimo avanzare non pochi dubbi”, mentre non sembra esser stato preso in considerazione il sistema dei servizi alla persona e i servizi sociali. “Un settore nel complesso molto colpito dalla crisi e da cui dipende una parte rilevante del benessere delle famiglie italiane e più in generale il progresso del sistema Paese”, aggiungono i due autori. Per queste ragioni, Borzaga e Scalvini propongono di avviare un dibattito dal basso e lo fanno avanzando otto proposte da cui partire e immaginare un percorso di coprogettazione per far fronte alle sfide dei prossimi mesi.

IL PRIMO PASSO? COMPLETARE LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

La prima proposta suggerisce innanzitutto di chiudere un cantiere ancora aperto, ovvero quello della riforma del terzo settore. “Dopo tre anni, la riforma non risulta attuata - scrivono i due autori -. Ciò è molto grave soprattutto perché il disegno riformatore contenuto in questi provvedimenti risulta progressivamente eroso”. Le notizie riguardanti l’avvio del Registro unico fanno ben sperare, ma l’auspicio è che “non si presentino ulteriori intoppi applicativi”. Per Borzaga e Scalvini, però, resta “inspiegabilmente sospesa la definizione del regime fiscale delle imprese sociali - scrivono -. Non ci si può meravigliare se nel frattempo le imprese sociali non decollino, e soprattutto se le molte organizzazioni che hanno le caratteristiche dell’impresa sociale, ma che andrebbero incontro ad aumenti dei costi e riduzione dei benefici se optassero per qualificarsi come tali, scelgano di non farlo”.
La seconda proposta riguarda proprio le imprese sociali e la richiesta di favorire la loro capitalizzazione. “Dopo gli interventi emergenziali finalizzati ad assicurare la sopravvivenza mediante contributi a fondo perduto e garanzie per l’accesso al credito, pensare alla ripresa e allo sviluppo futuro delle imprese sociali significa affrontare il tema della loro struttura patrimoniale che, soprattutto dopo le perdite dovute all’interruzione dell’attività, va rafforzata affinché possano affrontare i progetti di crescita e innovazione necessari per dar risposta ai vecchi e nuovi bisogni”. L’idea di Borzaga e Scalvini è “semplice e di facile attuazione”, assicurano. “Le imprese sociali potrebbero essere il veicolo per orientare verso la produzione e gestione di beni comuni parte dei risparmi della comunità a cui appartengono. Come? Con un meccanismo semplicissimo: per ogni euro di capitale raccolto, lo Stato, attraverso un fondo ad hoc, garantisce il raddoppio. La quota statale andrà ad incrementare le riserve indivisibili, che costituiscono fisiologicamente un patrimonio intergenerazionale, vale a dire che non può essere privatizzato e che rimane come una permanente leva per lo sviluppo delle iniziative future”. Iniziative simili, spiegano i due autori, hanno già dato ottimi risultati. “Con una simile leva le imprese sociali saprebbero promuovere la raccolta di una quota dei risparmi privati disponibili nelle loro comunità di riferimento, riconoscendo loro un decoroso rendimento e garantendone l’orientamento a attività e progetti di interesse generale”.

VALORIZZARE IL “GIACIMENTO OCCUPAZIONALE” DEL TERZO SETTORE

La terza proposta chiede di valorizzare il giacimento occupazionale del terzo settore e quindi un piano di incentivi per l’assunzione di giovani nelle imprese sociali (consulta la scheda sul lavoro nel non profit in Italia di Redattore Sociale). “Non passerà molto tempo che tante organizzazioni di terzo settore, soprattutto imprese sociali, riprenderanno ad assumere lavoratori, sia per garantire il ricambio generazionale che per far fronte all’aumento della domanda di servizi. È già successo dopo la crisi del 2009 - spiegano i due autori -. Se le imprese sociali saranno in grado di accrescere la propria domanda di lavoro giovanile, vi sarà per il Paese e per le comunità in cui operano un duplice vantaggio: più servizi e meno disoccupazione tra i giovani”. Per tali ragioni, la richiesta è anche quella di prevedere un “abbattimento ad hoc (anche temporaneo) del costo del lavoro per i nuovi assunti da imprese sociali, eventualmente aggiuntivo ad un intervento generalizzato se questo dovesse andare in porto o, ancora meglio, legato percorsi formativi”.

Il quarto punto riguarda l’innovazione digitale. Secondo i due autori, l’adozione di tecnologie digitali può contribuire ad un miglioramento dei servizi offerti. “Le sperimentazioni portate avanti durante il lockdown da diverse imprese sociali ha anche mostrato che esse hanno al loro interno o sono in grado di attivare risorse umane con una forte propensione all’utilizzo in senso innovativo di queste tecnologie. Potenziare con misure di sostegno queste skills potrebbe dare un contributo significativo alla diffusione dell’utilizzo di tecnologie digitali”. Per tali ragioni, all’interno del più generale sostegno alla digitalizzazione del Paese, sarebbe opportuna anche “una linea di finanziamento specifica vada attivata per le imprese sociali e gli enti di terzo settore”.

NO ALLA RETORICA DELL’INNOVAZIONE A TUTTI I COSTI

La quinta proposta riguarda il sostegno alla nascita e allo sviluppo delle imprese sociali con un nuovo progetto “Fertilità”. “Il Paese ha oggi bisogno di una nuova spinta alla diffusione di iniziative collaudate, superando la vuota e fuorviante retorica della innovazione a tutti i costi - spiegano i due autori -. Esistono decine, centinaia di ottime esperienze, spesso innovative, prodotte in questi anni dalle imprese sociali, anche in settori e attività non tradizionali. Il punto è come diffonderle, moltiplicarle, affinché attraverso la proliferazione di ciò che ha dimostrato funzionare si possa determinare una infrastrutturazione sociale generalizzata e diffusa”. La proposta chiede, quindi, di riprendere e aggiornare l’esperienza di Fertilità e “mettere in campo, attraverso un fondo ad hoc, adeguatamente finanziato, uno strumento che sappia dosare con sapienza contributi a fondo perduto, capitale sociale e prestiti”.
Il sesto punto suggerisce un piano per la valorizzazione da parte delle imprese sociali dei patrimoni pubblici inutilizzati e dei beni sequestrati alla mafia. “Riteniamo che sia giunto il tempo per mettere a punto un programma specifico - si legge nell’editoriale -, integrabile con i precedenti, per permettere a enti locali e imprese sociali di coprogrammare e coprogettare il recupero e la valorizzazione del crescente numero di patrimoni collettivi, compresi quelli sequestrati alla mafia, attualmente inutilizzati e destinati ad un progressivo degrado”. Il sostegno, spiegano, “dovrà essere dato soprattutto per coprire i costi di elaborazione, progettazione e costruzione delle alleanze tra pubblica amministrazione, impresa sociale e altri soggetti del territorio”.

VALORIZZARE LE POTENZIALITÀ DELL’IMPRESA SOCIALE

Il sostegno alla formazione sul lavoro dei lavoratori svantaggiati è previsto dalla settima e penultima proposta. “La ricerca ha ormai dimostrato che le pratiche di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati realizzate dalle imprese sociali determinano ad oggi un risparmio netto di denaro pubblico stimato in 4.000 euro all’anno per lavoratore - scrivono Borzaga e Scalvini -. Un valore che, senza contare i benefici umani sociali e psicologici che ne traggono lavoratori e famiglie, è assolutamente rilevante”. Per potenziare questo tipo di esperienze e favorire l’ampliamento delle attività “è necessario riconoscere a queste imprese oltre alla defiscalizzazione degli oneri sociali anche un contributo netto – a termine – per lavoratore svantaggiato assunto che ne copra i costi di formazione sul lavoro e in particolare sostenga le figure di tutor dell’inserimento e di responsabile sociale di cui la maggior parte di queste imprese sono ormai dotate”.
L’ultima delle otto proposte, invece, riguarda il servizio civile per tutti i giovani e per i titolari di reddito di cittadinanza. “Le imprese sociali, insieme agli altri enti di terzo settore, devono diventare il principale sistema operativo di un servizio civile in grado di attrarre ogni anno decine di migliaia di giovani - scrivono Borzaga e Scalvini -. Proponiamo che venga studiata la possibilità di richiedere alle organizzazioni un piccolo concorso economico, prevedendo per i giovani l’apertura di una posizione previdenziale e ponendo a carico degli enti l’onere del versamento di contributi previdenziali, parametrati al compenso loro attribuito. Un modo per rendere le organizzazioni più responsabili e per innescare meccanismi di copertura previdenziale che rappresenteranno uno dei principali problemi per le generazioni future. In una seconda fase si potrà estendere l’obbligo del servizio civile anche ai titolari del reddito di cittadinanza (ovviamente a quelli in condizione di lavorare)”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)