Daniele Orsato. Fischietto e sacrifici in tasca

«Giocavo a calcio in oratorio, difensore centrale, di testa me la cavavo. Recoaro, sono di là, era luglio 1992, m’ero appena diplomato, con quell’idea fissa di fare l’elettricista, io che già da bambino me ne andavo in giro per casa con un cacciavite in mano. Il diploma a giugno, nemmeno un mese e già avevo trovato il lavoro ed ecco che vengo a sapere che a Recoaro non fanno più la squadra, chiuso col calcio e un collega mi butta lì “perché poi non provi a fare l’arbitro? Almeno così continui a stare in campo, con la responsabilità che hai”. È stata proprio quella parola – responsabilità – che mi è rimasta dentro, mi ha fatto pensare e decidere. Lì a casa ne parlo così a mio padre, un corso arbitri lo tenevano a Vicenza e lui: “ma perché così lontano, una sezione dell’Aia c’è pure a Schio, più comodo no?” Dunque responsabilità, quel prendere decisioni da solo, mi ha colpito questo, lì sul campo».

Daniele Orsato. Fischietto e sacrifici in tasca
Un colpo di fulmine. «Ricordo ancora la prima volta che ci sono andato in quella sezione di Schio, era giusto uno scantinato di una scuola ma per me è stato davvero un colpo di fulmine, tutta quella carrellata di premi, le foto di Paolo Casarin e Luigi Agnolin, persino il certificato penale bisognava allegare alla domanda, m’impressionò questo particolare e subito lì quella mia domanda: “quanto ci vuole per arrivare in Serie A?”. Così il presidente della sezione lì a spiegarmi che si comincia dagli esordienti e poi...