Assegno unico, "ben venga ma serve riforma della fiscalità della famiglia"

L'analisi del direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali Giovambattista Palumbo: "Introdurre il quoziente familiare, passando dalla tassazione su base individuale a quella per parti". Per coprire la differenza rispetto all’attuale trattamento per circa 1,3 milioni di famiglie servono 800 milioni 

Assegno unico, "ben venga ma serve riforma della fiscalità della famiglia"

"Ben venga l’assegno unico, ma tale innovativa introduzione dovrebbe legarsi ad una riforma complessiva della fiscalità della famiglia, che introduca magari, a sostegno dello stesso assegno, anche il quoziente familiare, passando dalla tassazione su base individuale a quello della tassazione per parti". Lo spiega l’avv. Giovambattista Palumbo, direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali analizzando le caratteristiche della misura, che sostituirà, dal primo luglio 2021, gli assegni familiari attuali, le detrazioni per i figli a carico, i bonus bebè e tutti gli altri sostegni economici.

"Non dovrebbero esserci contribuenti che, nel passaggio, andranno a perderci, dato che, in fase attuativa, dovrebbe essere introdotta una clausola di salvaguardia contro tale eventualità. E poiché oggi le detrazioni spettano fino ai 24 anni, dovrebbe anche esserci una norma transitoria per chi ha figli con più di 21 anni", spiega. In un primo scenario di massima "si dovrebbe avere un assegno di 161 euro al mese per tutti i figli di famiglie con Isee inferiore a 30mila euro; oltre quella cifra l’assegno scenderebbe fino a un minimo di 67 euro". La stima per coprire la differenza negativa rispetto all’attuale trattamento per circa 1,3 milioni di famiglie è di circa 800 milioni di euro.

Palumbo evidenzia che "a guadagnare rispetto alla precedente situazione saranno i lavoratori autonomi e le partite Iva, che oggi non percepiscono gli assegni familiari, ma solo detrazioni per i figli a carico, che partono da 80 euro al mese a figlio (101 per i minori di 3 anni) e decrescono fino ad azzerarsi a 95mila euro di reddito. Anche gli incapienti ci guadagneranno, perché, non pagando tasse in virtù dei redditi bassi, non riuscivano di fatto oggi a godere delle detrazioni. Andrà meglio poi anche per la maggioranza dei lavoratori dipendenti, considerato che oggi sia gli assegni che le detrazioni decrescono rapidamente dopo i 20mila euro di reddito familiare". "A rischio sono invece i lavoratori dipendenti e i pensionati con redditi familiari bassi, attorno ai 15 mila euro l’anno: - spiega - in questa fascia, infatti, si arriva a prendere il massimo delle detrazioni e il massimo degli assegni per il nucleo familiare, fino a circa 250 euro a figlio al mese. Soprattutto a loro sarà destinata la clausola di salvaguardia".

Ma perché il progetto di un assegno unico universale deve essere parte di una riforma strutturale? "La tenuta economica delle famiglie italiane dipende  anche dalla divisione fra famiglie bireddito e monoreddito, essendo queste ultime più esposte alle incertezze dell’economia reale. - spiega Palumbo - L’assegno unico universale non distingue però queste due tipologie di famiglie, laddove, perché ciò avvenga, sarebbe necessario che tale misura fosse legata ad una riforma fiscale più generale, che metta al centro il reddito familiare". E l’Isee "potrebbe anche fungere da base di partenza per tale riforma".
Positivo il  giudizio sulla misura, valutata come "primo, importante, passo verso una concreta politica di equità fiscale", pur con dei limiti. Con questo obiettivo si ravvisa la necessità più generale di passare dalla tassazione su base individuale a quello della tassazione per parti, che risponde al principio secondo cui – a parità di reddito e di composizione familiare – a ciascun componente della famiglia deve essere garantito lo stesso ammontare di risorse, prima e dopo le imposte. Se si introducesse, a sostegno dell'assegno universale, anche il quoziente familiare, spiega Palumbo "le due misure, congiuntamente, potrebbe fungere anche da 'bazooka' contro la denatalità". 

"E anche (e forse soprattutto) questione finanziaria. - conclude - Ma il Recovery Fund potrebbe prendere in considerazione una riforma di ampio respiro come questa".

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)