C'è una Chiesa oltre le chiese. Cosa ci ha detto questa Quaresima

Essere vivi è il primo motivo di ringraziamento al Signore. E il bene comune viene prima dei “miei” riti, precetti, abitudini

C'è una Chiesa oltre le chiese. Cosa ci ha detto questa Quaresima

Ricorderemo per tutta la vita una quaresima così, un anno come il 2020: questa esperienza porta considerazioni e insegnamenti da far nostri. Mi ha colpito e ispirato quello che diceva sulla Difesa del 15 marzo dom Antonio Benzoni, priore del Rua: «Questo è il tempo favorevole, non ne abbiamo altri, occorre scovare le orme di Dio in questo tempo […] che voglia dirci che c’è anche un altro modo di essere cristiani, che non è quello delle attività, del ritrovarsi, dell’esteriore. Esiste tutta un’attività interiore, nascosta…». Ecco cosa pare a me di aver scovato, o intimamente confermato.

La vita prima dei precetti Brutalmente qualcuno direbbe “La pelle prima di tutto”, ma fa certo impressione leggere che è concesso dal vescovo non adempiere il precetto festivo perché non si possono celebrare messe domenicali con l’assemblea. Al di là delle polemiche sollevate – inutilmente, speciosamente – da alcuni ultracattolici, colgo l’insegnamento (ufficiale!) che il bene della vita precede tutti gli altri beni, è fondativo degli altri doni e impegni. E il bene comune viene prima dei “miei” riti, precetti, abitudini. Così l’essere vivi risalta come il primo motivo di ringraziamento al Signore, quel Dio della vita che è continuamente avanti a noi e ci chiama a seguirlo anche per vie inaspettate.

La fede e i segni della fede Sono tra i fortunati che hanno potuto mantenere il ritmo quotidiano della celebrazione eucaristica, senza privazioni. Ma mi sono chiesto: cambierebbe tanto se, per ragioni fondate, dovessi “saltare la messa”? Certe obiezioni e lamentele mi hanno fatto supporre che si partisse da una fede troppo “cosificata”, centrata sui gesti (abitudinari?) della religione più che sul rapporto personale con il Signore Gesù: è riemersa, talora a sproposito, persino la famosa citazione dei martiri di Abitina («Senza il giorno del Signore non possiamo vivere»).

La messa è sì il centro della domenica ma non è tutta la domenica: si può vivere il giorno del Signore in verità anche quando si “deve” perdere la messa. E succede già, in tempi non di pandemie, quando ci capita un incidente o un imprevisto, o siamo chiamati all’assistenza full time verso un malato, o si è all’estero in luoghi senza tracce di Chiesa cattolica… La fede va oltre – prima e dentro – i sacramenti e i segni ufficiali, non si ferma di fronte a chiese chiuse, non cerca contrapposizioni con la ragione, la scienza, la politica. E comunque l’Eucaristia si esplica nella duplice mensa, della Parola e del pane: se questo non è disponibile, quella è sempre a portata di mano. Bulimia eucaristica e anoressia della Parola? direbbe qualcuno.

Chiesa più della chiesa L’impressionante mole di “attività possibili” messe in campo dalle diverse realtà ecclesiali (diocesi, parrocchie, associazioni…) ci fa dire che come comunità cristiana siamo vivi, anche quando dobbiamo rinunciare ai soliti gesti, se ci accorgiamo che ci manca la presenza dell’altro (parroco o fedeli, docenti o studenti, o colleghi che siano...), se continuiamo a sentirci uniti e attivi pur con grandi domande dentro al cuore, se pensiamo ai più poveri di noi.

Il virtuale è reale Eh sì, quello che diciamo caratterizzare i ragazzi, i “nativi digitali”, è diventato esperienza di tutti, o di moltissimi. Il telefonino, internet, la tv, i mezzi digitali – oltre a permettere tanta didattica a distanza (e qui, permettete, molte scuole cattoliche hanno dato ottime prove di sé) – consentono di seguire le celebrazioni, di mandarci messaggi(ni) d’incoraggiamento (e anche di sorrisi e sollievo), ci hanno fatto pregare, gioire, soffrire insieme. Abbiamo “postato” frasi e riflessioni (nostre e altrui), canzoni e battute, foto; abbiamo parlato con i figli in Spagna o in Canada, ci siamo visti con i cari lontani e impossibilitati a rientrare: ci siamo sentiti “accanto”, ciascuno ha espresso il proprio sentimento, una parola, una preghiera, silenzio, senso di comunità, fraternità, intercessione, compassione. Cioè realtà, vita vera.

Speranza pasquale su un futuro imprevedibile. Che il coronavirus, che purtroppo ha portato lutto e paura, possa favorire crescita nella fede e occasioni di bene. Dipende anche da ciascuno di noi, da come vivremo il “dopo”.

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