Idee

Siamo consapevoli che il razzismo è in crescita nelle paure del mondo globale, in questo momento difficile, in cui siamo aggrediti pesantemente da una pandemia che scatena pulsioni istintive di difesa e violenza. Non abbiamo bisogno di aggiungere altro alla sofferenza che già viviamo in questo tempo!

Il fatto è che lo star fermi conduce obbligatoriamente ad aumentare il tempo di pensiero. E se nessuno ci ha insegnato come e cosa pensare, noi semplicemente ospiteremo in testa quanto ci troviamo di disponibile, e quindi – di questi tempi, ben prima dell’epidemia – quanto di letteralmente disponibile troviamo tra le mani, scorrendo le schermate del telefono.

L'argomento del ci-dovevamo-muovere-prima che ogni tanto ricompare sulla scena deve fare i conti con l'evidenza che mentre da noi i morti erano già migliaia il Presidente degli Stati Uniti d'America e il Primo Ministro del Regno Unito ancora negavano la portata devastante dell'epidemia e tutt'oggi uno Stato europeo da molti considerato un faro di civiltà (la Svezia) ci comporta come se fossimo di fronte alla solita influenza stagionale. Se proprio vogliamo recriminare sul passato dobbiamo allargare e allungare lo sguardo, puntando su quei nodi strutturali che non sono stati affrontati da molti anni, forse decenni (burocrazia soffocante, debito pubblico accumulato non per investimenti, ma anche sistema sanitario regionalizzato) che oggi ci si rivoltano contro nel momento più duro. Ma non sono problemi che possono essere risolti ora

Negli ultimi tre contributi che avrò il piacere di condividere con voi prima di congedarmi, vorrei mettere nero su bianco alcune delle domande che questa crisi solleva, spero non solo in me: in fondo, in questi giorni abbiamo tutti molto più tempo per pensare, no?

Il coronavirus sta mettendo alla prova il vecchio continente sotto il profilo sanitario, sociale, economico, istituzionale. Per un giudizio più articolato occorre però entrare nei meccanismi che regolano i rapporti Ue-Stati membri, soppesare quanto ha fatto l'Unione - e ciò che resta da fare - verificando le responsabilità in capo ai governi nazionali. Con un occhio particolare alla situazione italiana

Riduzione dei livelli di biossido di azoto nell’atmosfera, acque dei mari più puliti, delfini nelle baie dei porti svuotati di Cagliari e Trieste. Sono gli “effetti” della lotta contro il Coronavirus sul pianeta terra. Luca Fiorani, fisico del clima: “stiamo consumando più risorse naturali di quanto non ne produca il pianeta, e stiamo producendo inquinamento più di quanto il pianeta ne possa assorbire. È un circuito vizioso che dobbiamo arrestare, coronavirus o non coronavirus. Dobbiamo cambiare modello di sviluppo. Ci vuole un nuovo paradigma di società”

Il primo pensiero va a disoccupati, precari, lavoratori in nero, anziani, irregolari. Poi a quell’”ultimo pozzo nero” fatto di senza dimora, lavoratori stranieri stagionali, badanti con permesso scaduto, tossici e loro fornitori, donne che subiscono violenza domestica. E alla crudeltà della solitudine, con la quale sono morti i nostri nonni che fa riflettere su come li abbiamo trattati…

Con il fermo delle attività produttive generato dall'emergenza sanitaria ci sono intere categorie di persone e lavoratori che già ora sono diventati poveri. Per evitare di essere travolti da una frana sociale, spiega Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli, è quindi necessario intervenire subito con dei “muri di contenimento”. E se i primi interventi del governo vanno nella “giusta direzione”, sono però necessarie più risorse e nuovi strumenti.