Giusy Amato: “Lo davano per spacciato ma ora è il nostro raggio di sole”

"Non chiudete mai le porte di fronte a un bambino terminale o in condizioni gravi o gravissime. Non togliete la speranza ai genitori!". E' l'accorato appello ai medici di Giusy Amato, psicologa e madre di 5 figli, che con il marito ha accolto 23 anni fa nella propria famiglia un piccolo di 15 mesi con una grave disabilità, al quale non erano stati dati più di 6 mesi di vita. Con riferimento all'introduzione dell'eutanasia in Olanda anche per i bimbi da 1 a 12 anni, dopo quella per i piccolissimi 0-12 mesi e per gli over dodicenni, Giusy sostiene: "Non è la 'soluzione'". Genitori fragili e smarriti di fronte alla sofferenza di un figlio, "hanno bisogno di sentirsi dire dai medici: 'Siamo con voi. Proviamo a lottare insieme'"

Giusy Amato: “Lo davano per spacciato ma ora è il nostro raggio di sole”

A 15 mesi pesava 6 kg, non parlava e non camminava, ma per Giusy Amato è stato amore a prima vista.

“Mi sono innamorata subito di quell’uccellino ferito, stanco, che si lamentava senza nemmeno la forza di piangere e ho capito che non l’avrei più lasciato”

ci racconta. L’incontro fatale, destinato a cambiare per sempre la vita del piccolo Mario e della famiglia Silvestri, avviene il 15 dicembre di 23 anni fa, quando Giusy si reca come tutti i giorni all’ospedale Casa Sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo, dove svolge servizio come psicologa occupandosi in particolare di accompagnare bambini oncologici, spesso terminali, insieme alle loro famiglie, e di seguire il personale sanitario a rischio burn out. Così, quella mattina, l’infermiera con cui avrebbe dovuto avere un colloquio stava preparando il piccolo Mario all’ennesimo intervento neurochirurgico.Nato prematuro con spina bifida, idrocefalo e piedini torti, il bimbo sta per entrare in sala operatoria per la 15ª volta nella sua brevissima vita

e Giusy si accorge che non c’è la mamma ad accompagnarlo in pre-anestesia perché, le spiega l’infermiera, è stato abbandonato alla nascita. Dall’ospedale di Altamura è stato trasferito a Casa Sollievo dove è rimasto a neonatologia, accudito amorevolmente da tutti e sottoposto ogni mese a interventi chirurgici di drenaggio per prevenire infezioni al midollo spinale.

Giusy lo prende in braccio, lui la guarda un attimo, “non dimenticherò mai il suo sguardo. Era come se dicesse: mi abbandonerai anche tu?”, e si addormenta. In cuor suo Giusy ha già deciso. Ne parla subito con il marito Nicola Silvestri, medico e allora vice direttore sanitario dell’ospedale, e, arrivata a casa, con la figlia più grande, Valentina, all’epoca dodicenne. Sì perché Nicola e Giusy hanno già cinque figli: due bambine e tre bambini, e Mario sarà il sesto. Giusy spiega a Valentina che vorrebbe far passare a questo bimbo il Natale con loro e lei risponde:

“Qual è il problema? Dove stiamo in cinque possiamo stare in sei”.

Il piccolo viene operato e una settimana dopo entra nella famiglia Silvestri. Ma non è un percorso in discesa. Al di fuori della famiglia, tutti tentano di scoraggiare Giusy: “Ma chi te lo fa fare? Hai già cinque figli, un lavoro impegnativo. Questo bambino svilupperà diverse patologie, avrà bisogno di molte cure e probabilmente non vivrà a lungo”.Ma Giusy non si lascia intimorire: il suo istinto di madre e la sua competenza professionale le fanno intuire che in ospedale Mario “si sta lasciando andare, non vuole vivere”.

Il 23 dicembre il piccolo viene avvolto dall’affetto di una vera famiglia. Vissuto fino a quel momento in una condizione di deprivazione sensoriale e vomitando dalle sei alle otto volte al giorno, in poco tempo inizia a vomitare sempre meno, a prendere peso e poco dopo Capodanno, ascoltando i fratelli, impara a chiamare “mamma” e “papà”, racconta Giusy con la voce che ancora si incrina per l’emozione. Piano piano il suo vocabolario si arricchisce e dopo un anno di affido inizia l’iter per l’adozione.

Ma il suo continua ad essere un percorso in salita: Giusy lo porta al Rizzoli di Bologna, poi al Niguarda di Milano dove si sente dire che resterà disteso tutta la vita. Ma non si arrende e lo fa visitare anche in un centro di riabilitazione pediatrico a Monaco di Baviera. Il bimbo frequenta l’asilo, la scuola, prosegue ogni giorno la fisioterapia. Oggi ha 24 anni, si è diplomato ragioniere ed è un atleta parilimpico, specialità lancio del disco. “Ha un lieve disagio intellettivo nella memoria a breve termine, ma ha imparato a usare dei meccanismi per sopperire ai suoi limiti”, dice la mamma.

Giusy, che cosa ha dato Mario alla vostra famiglia? “Molto più di quanto non abbia ricevuto – la risposta -. 

E’ il nostro raggio di sole ed è stato un modello pedagogico perché ha educato i fratelli a ridimensionare le proprie difficoltà e delusioni e a comprendere quali sono le priorità, le cose davvero importanti nella vita”.

E di fronte all’introduzione, in Olanda, dell’eutanasia anche per i bimbi da 1 a 12 anni, dopo quella per i piccolissimi 0-12 mesi e per gli over dodicenni, è un fiume in piena: “Si parla di interruzione di vita intenzionale concordata tra medici e genitori; ma quale genitore ‘concorda’ di uccidere il proprio figlio? Le stesse persone – anche medici – che 23 anni fa mi consigliavano di abbandonare Mario al suo destino dandolo per spacciato, vedendoci oggi dicono che non avrebbero mai immaginato che potesse vivere così a lungo a raggiungere i traguardi che ha conseguito. E proprio a tutti i medici che ragionano così io vorrei dire, in base alla mia esperienza: non chiudete mai le porte di fronte un bambino terminale o in condizioni gravi o gravissime.

Non togliete la speranza ai genitori!

Sono fragili, smarriti. Io capisco la loro disperazione: vedono il figlio soffrire e si sentono soli e impotenti… Non si devono sentire abbandonati.

Non hanno bisogno di questo tipo di ‘soluzioni’ ma di essere accompagnati e sostenuti, di medici che dicano loro: siamo con voi. Proviamo a lottare insieme!”.

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Fonte: Sir